Una scoperta che apre nuovi orizzonti.
Un gruppo di ricercatori, riporta
Quotidiano.net, ha individuato un potenziale farmaco anti-cancro, nascosto tra le migliaia di specie di aracnidi che popolano l'Australia. La sostanza, estratta dal veleno di un ragno dei cunicoli, ha dimostrato di avere le carte in regola per riuscire a uccidere le cellule maligne del melanoma. Il lavoro degli scienziati del
QIMR Berghofer e della University of Queensland (Australia) non è partito da zero, ma ha preso spunto da precedenti studi sull'Acanthoscurria gomesiana, una specie a otto zampe originaria del Brasile. Il veleno di questo ragno contiene infatti un peptide chiamato Gomesin, che è dotato di proprietà anti-tumorali, abbinate però a effetti tossici difficili da aggirare. L'obiettivo degli scienziati era di testare qualcosa di simile al peptide Gomesin, possibilmente privo di effetti collaterali. La scelta è caduta su un composto bioattivo prodotto dal ragno dei cunicoli, un tipo di aracnide che include più specie diffuse in Australia, i cui tratti distintivi sono il potente veleno e le tane a forma di imbuto. In linea con quanto sperato, gli esperimenti in laboratorio hanno messo in luce che il peptide dell'aracnide australiano annienta le cellule del melanoma, impedendone la diffusione senza causare danni alle pelle sana. La sostanza si è rivelata un efficiente killer nei confronti delle cellule di melanoma umano isolate in laboratorio, evidenziando la capacità di rallentare la crescita del tumore anche nei topi. In aggiunta, ci sono stati riscontri positivi nel trattamento del DFTD (devil facial tumour disease), il tumore facciale che sta a mettendo a rischio la sopravvivenza del diavolo della Tasmania. "Questa ricerca è ancora in fase embrionale, ma i risultati ottenuti sono molto promettenti", ha spiegato la dottoressa
Maria Ikonomopoulou, che ha coordinato le varie equipe. "Abbiamo davanti ancora molti anni di lavoro, ma ci auguriamo che in futuro questo composto permetta lo sviluppo di un nuovo trattamento per il melanoma e il DFTD". I risultati dello studio sono stati pubblicati in una serie di articoli apparsi sulle riviste Scientific Reports e Cell Death.